Dalla Sicilia alla California, passando per lo scudetto vinto a Pescara. Può sintetizzarsi così la carriera di Marco Palazzo, 41 anni, siciliano che dieci anni fa si trasferì negli States per continuare a giocare nella pallanuoto universitaria americana (NCAA). Divenuto allenatore, ha fatto parte dello staff tecnico del Team Usa alle Olimpiadi di Londra, come assistente del c.t. Terry Schroeder. Lo ritroveremo a Lignano Sabbiadoro, per la 9a edizione dell’HaBaWaBa International Festival, dove guiderà la squadra Under 11 del Newport Beach, il club californiano per cui lavora adesso insieme a Stefano Ragosa, che invece allena gli U14.

“Sono contentissimo di portare i miei ragazzi all’HaBaWaBa, è una cosa che speravo di fare da tempo”.

Sembri molto felice. E i tuoi piccoli giocatori?

Sono entusiasti, si stanno allenando come dei matti. Nessuno di loro è mai stato in Italia e sono eccitati all’idea di venirci per giocare a pallanuoto. Ho dato a ognuno di loro un nome italiano: Dane è diventato Dino, Gavin Gino e così via. Sono impazziti e ora si chiamano così l’un l’altro. Dagli Usa porterò un gruppo di 7 ragazzi, al Festival la squadra verrà integrata da 3 ragazzi di Ravenna, trovati grazie a William Salomoni.

Com’è allenare in California? 

Bello per due ragioni: le strutture e la grande partecipazione. Il Newport Beach è una società che fa da vivaio alle squadre delle high school, i licei americani, che dispongono di impianti eccezionali. Io alleno l’U12, ma la prima categoria è l’U10: i ragazzi iniziano con il nuoto e la pallanuoto, ma tutti frequentano i corsi di junior lifeguard, dove imparano come rapportarsi all’oceano, un luogo molto diverso dal nostro mare.

Parlavi di larga partecipazione. 

I numeri sono impressionati: nel Newport Beach, solo tra dagli U10 agli U14 abbiamo 140 ragazzini che giocano a pallanuoto. La quantità di praticanti in California è enorme, anche giocatori della scuola slava, come Predrag Zimonjic e Deni Lusic, sono rimasti colpiti quando sono venuti qui. La qualità degli allenatori non è come quella europea: se crescesse, gli Stati Uniti sfornerebbero talenti a ripetizione.

In prospettiva, dunque, gli Usa potrebbero divenire una vera potenza nella pallanuoto.

Hanno potenzialità infinite. Inoltre qui il nostro viene visto come uno sport che dà grandi possibilità: praticare pallanuoto apre le porte delle borse di studio in università prestigiose come Stanford o Berkeley.

Partecipare all’HaBaWaBa servirà a rafforzare il legame dei tuoi ragazzi con la pallanuoto?

Assolutamente sì. Ormai è l’evento di pallanuoto giovanile più conosciuto al mondo e crea grande interesse. Carlo Silipo, citando un suo allenatore, una volta mi disse che bisognerebbe infilare dentro la testa di ogni bambino un verme che instilli l’amore per la pallanuoto. Ecco, l’HaBaWaBa è come quel verme.

Il Festival ti permetterà di tornare in Italia come allenatore. 

Sono contentissimo, spero di incontrare tanti vecchi amici, facce che non vedo da 10 anni. Il rapporto che si crea tra chi frequenta il mondo della pallanuoto è difficile da trovare in altri contesti. Italiani, greci, spagnoli, slavi: siamo tutti cresciuti con la stessa disciplina e cultura, facendo gli stessi sacrifici. Ecco, negli Usa questa formazione viene riconosciuta universalmente: il mondo del lavoro ti apprezza di più se sa che sei stato un pallanuotista, un atleta abituato a lavorare duro e in squadra.

Ci sono altri valori della pallanuoto che ti sono tornati utili negli States?

Gli americani hanno una golden rule, una regola d’oro: tratta gli altri nel modo in cui vorresti essere trattato. Oltre all’amicizia la pallanuoto insegna questo: il rispetto.

 

 

 

 

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